martedì 19 aprile 2011

Lettera aperta al Presidente della Repubblica

11 Aprile 2011

Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benchè nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste ( cioè quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo all’attualePresidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.
Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico: questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regolaquando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti

Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido Carotti, Mileno Fabbiani,
Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli, Aldo Bozzolini

giovedì 14 aprile 2011

Citazioni

Parigi non è stata costruita in un giorno.


E’ possibile. ….Ma questa immensa Parigi ha avuto un inizio. C’è stato un momento in cui non esisteva nulla sulle due rive della Senna, e c’è stato un altro momento consecutivo al primo in cui qualcosa esistette: un tetto di giunchi, una capanna qualunque fatta per resistere. In questo preciso momento, si può e si deve dire che Parigi era virtualmente, potenzialmente e quindi completamente costruita. Aggiungo che doveva essere assai più bella, incomparabilmente, incommensurabilmente, fantasticamente più bella. Ma come farmi capire?

L. Bloy “Esegesi dei luoghi comuni”

martedì 12 aprile 2011

Le parole della politica: Democrazia

Nel nostro Paese, la democrazia è una forma di governo della società, basata sulla divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) esercitati da organi istituzionali (Parlamento, Governo e Magistratura) tra loro indipendenti.
Vi sono poi organi istituzionali a garanzia della corretta applicazione della legge fondamentale, la Costituzione, come il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale. Il potere, tramite questa complessa architettura, è nella titolarità del popolo, che, tramite i diritti riconosciuti a tutti i cittadini, lo esercita, come, per esempio, nel diritto al voto.
Ma, ancora più al fondo, un paese è democratico, quando sono rispettati e continuamente promossi i diritti fondamentali della persona a una esistenza dignitosa, al lavoro, alla famiglia, alla possibilità di partecipare alla vita della società e alla vita politica, alla libertà di espressione, di manifestazione del pensiero, alla ricerca, alla cultura, all’informazione indipendente, al dialogo e al confronto, all’impresa economica, al rispetto reciproco, alla salute. Alla pace. E a tanti altri aspetti della vita di una persona che sono descritti nella Costituzione stessa.
Nata dalle ceneri dei diversi assolutismi, la democrazia ha una funzione vitale e una possibilità di costante revisione nell’ambito delle sempre nuove condizioni in cui si svolge la vita delle persone, dei gruppi, delle comunità, degli stati in cui vivono e delle relazioni internazionali.
Oggi, nel nostro Paese, a causa di una sempre maggiore influenza della mentalità dominante, di un potere mediatico concentrato nelle mani di pochi (il cosiddetto “quarto potere”, cioè l’informazione, che dovrebbe entrare nella logica di indipendenza dagli altri poteri se non se ne vuole subire la devastante influenza) che propone modelli di vita superficiali e individualistici, la democrazia rischia di essere un impianto giuridico che non trova più un senso, un collegamento con la vita delle persone. La politica, massima espressione della cultura che cerca i mezzi per una convivenza umana e un progresso rispettoso del bene comune e che dovrebbe avere come centro della propria azione l’uomo, oggi è soprattutto azione di forza, mossa da interessi economici e personali.
La politica in Italia, con il cosiddetto “berlusconismo”, tenta di svuotare di senso la democrazia in vari modi, ma senza dubbio attraverso la soppressione di un elemento vitale della vita sociale e politica: il pluralismo. E ciò comporta diverse conseguenze:

- Grazie alla realizzazione del cosiddetto bipolarismo si è inserito nel dibattito sociale un meccanismo mai conosciuto secondo cui o si è di una parte o si è dell’altra. Si è inserito un elemento che ha privato la cultura, la vita sociale e il confronto politico dell’attenzione alle presenze, alle esperienze, alle voci che compongono il tessuto della nostra nazione. Si è tolta dignità a espressioni politiche e partitiche che pur rappresentano una visione della realtà che merita spazio.
- Questa rovinosa caduta della vita democratica, condivisa dai due poli dello schieramento politico italiano, ha avuto il suo strumento operativo nell’attuale legge elettorale, che ulteriormente depotenzia la libera espressione del voto, tanto che non esiste più la possibilità di esprimere la preferenza ai candidati che si presentano alle elezioni.
- Il consenso al “premier”, così fraudolentemente ottenuto e esaltato dalla “volontà popolare”, lo “legittima” sempre più nel tentativo di fare a meno degli altri poteri, che non hanno la sua “forza” di legittimità: il Parlamento discute sempre meno delle questioni importanti, la Magistratura viene messa in dubbio, il Capo dello Stato è espressione di una parte politica così come la suprema Corte e così via.
- Le parole della politica vengono sempre più stravolte e rese ambigue: basandosi su una sorta di fiducia personalistica, al capo dell’esecutivo basterà continuamente fare promesse, come in una specie di campagna elettorale senza fine, per ottenere plausi e consenso.
- Le sue personali e pubbliche possibilità economiche fanno il resto: in una logica di becero mercantilismo tutto può essere comperato, anche la maggioranza in parlamento, la testimonianza in un processo, la patente di cattolico.
- I luoghi delle decisioni, quelle vere, quelle legate all’interesse dell’oligarchia al potere, non sono più quelli istituzionali, sono invisibili e fuori da ogni controllo.

Dunque, per parlare di democrazia, occorre riferirsi all’esperienza concreta, alla lotta che sempre si necessita come condizione per partecipare alla vita sociale e politica, alla sicura appartenenza a una identità in cui riconoscersi, per essere così capaci di confronto e apertura, per non essere “pecore matte” a disposizione del demiurgo di turno. Vivere la democrazia è vivere un’esperienza di umanità, grazie alla quale si partecipa alla vita di tutti con coscienza e cultura, umanità e apertura, sapendo che nulla è definitivo (quando comincia la sclerosi si avvicina la morte, anche sociale e politica) ma tutto è in divenire. Le leggi, gli ordinamenti devono consentire questo costante sviluppo e devono prevedere gli strumenti per bloccare i sempre presenti tentativi oligarchici.
C’è, in conclusione, un aspetto fondamentale da tenere presente: gli uomini sono per loro natura esseri sociali. Come disse Giorgio La Pira: “la personalità umana si svolge progressivamente in una serie di organismi – da quello familiare, a quello territoriale, di lavoro, di classe, politico, culturale, religioso – che la integrano e la elevano”. La democrazia deve garantire questo percorso.

Citazioni

L’attesa della povera gente (disoccupati e bisognosi in genere)?. La risposta è chiara: un Governo ad obbiettivo, in certo modo, unico: strutturato organicamente in vista di esso: la lotta organica contro la disoccupazione e la miseria.
Un Governo, cioè, mirante sul serio (mediante l’applicazione di tutti i congegni tecnici, finanziari, economici, politici adeguati) alla massima occupazione e, al limite, al “pieno impiego”.
Altra attesa – rispetto al Governo- la povera gente né aveva, né ha….
  1. E’ il Governo persuaso che la disoccupazione, con la miseria morale che provoca, va combattuta come uno dei fondamentali nemici e delle fondamentali contraddizioni della società?
  2. E’ il Governo persuaso che la disoccupazione costituisca uno sperpero economico che incide gravemente sul reddito nazionale e che, a lungo andare, produce anche inflazione?
  3. E’ il Governo persuaso che la eliminazione della disoccupazione presuppone un regolamento del mercato del lavoro da operarsi mediante una pianificazione della spesa (pubblica e privata) che esso solo può compiere?
  4. E’ il Governo persuaso che nessun ostacolo di natura finanziaria può e deve impedire il raggiungimento almeno graduale di questo obiettivo? Che i “danari” in ogni caso non possono non esistere anche se è estremamente faticoso- ed esige sforzi intellettuali, volitivi ed anche di preghiera! – il reperirli? Che se c’è un bisogno essenziale umano non può mancare il mezzo adeguato per soddisfarlo? Che questa posizione dettata dalla fede è perfettamente convalidata dalla esperienza e dalla più recente e vitale teoria economica?
  5. E’ il Governo persuaso che l’assunzione di questo compito nuovo e così fondamentale importa un mutamento in certo senso radicale della sua politica economica e finanziaria, interna e internazionale? Che esso importa l’elaborazione di un bilancio del Tesoro totalmente diverso, per struttura e finalità, da quello attuale? Che esso importa un mutamento adeguato nella struttura del Gabinetto e nella struttura dell’apparato burocratico statale?
  6. Ed, infine, vuole intanto il Governo procedere alla immediata erogazione delle somme necessarie per sovvenire in qualche modo alle prime e inderogabili esigenze dei disoccupati?
Ecco le domande precise che la povera gente fa al Governo: se il Governo può dare ad esse una risposta positiva allora la “crisi” sarà risolta…Se Il Governo darà una risposta negativa allora la “crisi” assumerà dimensioni più vaste ed il Governo farà come lo stolto costruttore del Vangelo: costruì l’edificio sulla sabbia, venne la tempesta e vi fu grande rovina.


Da “L’attesa della povera gente” Libreria editrice fiornetina1978

venerdì 8 aprile 2011

San Michele aveva un gallo

Giulio Manieri, un anarchico insurrezionalista di origini borghesi, verso il 1870, in seguito all'unità d'Italia guida un colpo di mano in un apiccola città. L'impresa fallisce, perchè immatura e mal preparata, e il capo viene condannato a morte. Mutata la pena in ergastolo, Manieri riempie la sua cella solitaria di fantasie: parlando con se stesso, finge di immaginarsi tra i dibattiti politici cui era frequentatore assiduo e impegnato, e finge addirittura di trovarsi nel bel mezzo del successo della rivoluzione contro il Governo. Ripete sempre le strofe di un ritornello che sua madre gli cantava da bambino "San Michele aveva un gallo", appunto. Questo è l'unico modo che gli permette di vincere l'isolamento e la segregazione distruttiva della prigione e resta, in un certo senso, vivo, perchè la sua cosicenza rimane viva negli ideali che sosteneva e in quello in cui aveva sempre creduto; finchè essi rimangono vivi in lui, anche se nella fantasia e nella "pazzia" rimane in vita si chiude nell'ottimismo di un'ancora possibile rivoluzione che renda la società più giusta e più vera per gli uomini. Passati dieci anni, durante il trasferimento in un carcere su un'isola di Venezia, incrocia una barca che porta in galera altri sovversi, e scambia con loro qualche parola, quanto basta per capire le differenze enormi tra la sua e la loro generazione di sovversivi; per lui la giustizia e l'anarchia erano veri ideali; per questi giovani sono solo un modo di ribellarsi allo stato delle cose, senza prospettive future di giustizia per tutti. E vede così gli ideali in cui aveva sempre creduto ridotti a una "moda", come oggi stesso noi vediamo nel modo di fare la politica di certi uomini. Gli uomini hanno sostituito il sogno di una politica che serva all'uomo, con una lotta all'avventurismo. Per gli ideali di Manieri non c'è più posto e il suo ottimismo si trasforma in un irrimediabile pessimismo che conduce alla disperazione e all'atto estremo di follia di gettarsi nella laguna e affogarsi. Espressione di urgente necessità di realismo, nella realtà che oggi affrontiamo, tra il pessimismo disperato di pochi e il cieco ottimismo di molti, senza comprendere che la politica, prima di tutto, deve rispondere ai bisogni e alle necessità di una vita più giusta che ogni uomo ricerca. 

San Michele aveva un gallo, Italia, 1972, regia di P. e V. Taviani

Giorgio La Pira

“Credente o non credente, giovane o anziano, volente o nolente; il fatto esiste: sei imbarcato e la navigazione alla quale, volente o nolente, tu partecipi, interessa l'intiero corso della tua vita!”

Questa frase potrebbe non solo descrivere a pieno la figura di Giorgio La Pira ma chiarire che cosa “l’uomo dei poveri” intendesse con la parola democrazia. La sua vita è sempre stata, infatti, dedicata alla cura e all’ascolto del popolo che si trovava a rappresentare fosse quello fiorentino quando divenne Sindaco di Firenze o quello italiano quando divenne Ministro. Non ci importa sottolineare troppo la vita partitica che La Pira condusse, il fatto che accogliesse maggiormente le idee presentate da una parte piuttosto che dall’altra poco modifica il valore che ha portato nel mondo delle politica con il suo modo di agire; ci interessa maggiormente vedere la sua vita.

A lui interessava portare avanti i problemi della gente, non c’era quindi interesse nel distruggere l’avversario, non c’era interesse nell’apparire mediatico che oggi contraddistingue il modo di fare politica, lui lavorava. Il tempo dovuto e la sua passione portavano ai risultati che sperava accadessero. Fare politica era per lui un lavoro a tempo pieno che lo impegnava in particolar modo nella risoluzione della povertà, nella ricerca di possibili cambiamenti che portassero felicità, la vera felicità, alla gente.

L’intelligenza di instaurare una messa per i poveri o tassare maggiormente chi più aveva per permettere di non appesantire troppo chi già era in difficoltà economiche dimostra come il suo temperamento fosse al di sopra di ogni etichetta, riusciva a mettere in dialogo cattolici e comunisti perché sapeva di lavorare per un principio superiore.

Il 5 novembre 1977 muore, molti altri politici hanno cercato di seguire le sue orme, imparare dal suo modo di fare. Oggi questo modo di porsi di fronte all’avvenimento politico, un modo umile e intraprendente, è scomparso.